La proposta di deroga all'età pensionabile (da 70 a 72 anni) per i dipendenti dell'università è stata oggetto di discussione del Senato Accademico del 21 maggio 2009. Ecco la nostra posizione. Dopo 8 ore di discussione il punto è stato rinviato al prossimo Senato. L'Unione degli Universitari darà battaglia. Ecco perchè:
Il Decreto Legislativo 503/1992 all’art.16 fissava l’età pensionabile del corpo docente a 70 anni. Si dava anche la possibilità al docente di chiedere una proroga di due anni.
La L.133/08 ha modificato le norme sul pensionamento affidando alle Università, nell’ambito della loro autonomia, la possibilità di scegliere i criteri con cui accettare tali domande di deroga rispetto al pensionamento.
Molti Atenei italiani, Bologna, Torino, la Sapienza di Roma, hanno scelto di non consentire deroga alcuna rispetto al rinvio dell’età di pensionamento. L’Università di Siena, provata da una pesante crisi finanziaria, ha addirittura scelto di anticipare l’età pensionabile a 65 anni.
Una commissione disposta dal Senato Accademico ha presentato una proposta che invece consente tale deroga, con una norma che la stampa ha definito “norma salva baroni”.
La parte più rilevante della proposta riguarda la componente docente, per quanto la norma interessi anche il personale tecnico amministrativo.
La proposta prevede che il Rettore possa concedere la deroga in sussistenza di criteri non particolarmente stringenti. I criteri proposti non forniscono garanzie sufficienti. Tali elementi di valutazione sono:
- contributo dato dal richiedente al prestigio dell’istituzione universitaria
- produttività scientifica del richiedente, in base ai requisiti per l’accesso ai finanziamenti di Ateneo come stabiliti dal Senato., e secondo i parametri indicati dal CUN
- Riconosciuta elevata professionalità (sul cui significato vige il mistero più assoluto)
E’ evidente che se si dovesse discutere solo dei criteri, risulta evidente la mancanza, tra di essi, dell’esito del giudizio del nucleo di valutazione. Devono essere oggetto di valutazione i risultati dei questionari somministrati agli studenti.
Ma la questione non riguarda solo gli aspetti tecnici perfezionabili e la necessità di trovare criteri stringenti, si tratta piuttosto di una questione politica.
C’è in primis un dato politico e simbolico. E’ necessario dare segnali di rinnovamento. Tante e tanti nostri coetanei non ci sperano neanche più.
Sappiamo bene che si sta mettendo in atto un processo di inversione della piramide, dato che con 51 chiamate per ricercatori lo scorso anno siamo stati il secondo Ateneo d’Italia. Ma il segnale che verrebbe dato da un provvedimento come questo sarebbe motivo di grande sfiducia per chi, studente, dottorando, precario, aspira ad un futuro nel mondo accademico.
E’ quindi, anche un problema di immagine a cui il Magnifico Rettore è particolarmente attento. Sa bene come l’immagine di un ateneo e la percezione che si da di sé all’esterno ha degli effetti sostanziali e concreti.
Ma l’obiettivo fondamentale non può non essere il rinnovamento sostanziale, e il ricambio generazionale.
Per quanto riguarda l’età pensionabile la media europea è di 65 anni, dove ben altri livelli di valutazione delle università e della qualità della docenza. Se crediamo che l’Università di Bari e il sistema universitario nazionale debbano autogovernarsi è necessario indicare politiche nazionali anche mediante le scelte da fare a livello locale. Non possiamo lasciare a chi, come il Miur sta facendo, la possibilità di usare la retorica del ringiovanimento per giustificare i tagli all’università è un errore strategico.
Esiste inoltre una difficoltà concreta nel distinguere tra chi merita e chi vive solo di rendita per il lavoro fatto negli anni passati, in cui era più giovane.
Siamo grati come Università del lavoro svolto da coloro che vivono di rendita, ma non possiamo non distinguere.
Segnalo l’intervento di Umberto Eco che aprendo il dibattito sul tema nell’Università di Bologna dice: “Io ho la mia età e vado giustamente in pensione. In altri Paesi però i professori universitari vanno normalmente in pensione a 65. So benissimo che uno studioso di 65 anni può ancora essere attivissimo. Lo studioso che può vivere dignitosamente con la sua pensione continua a prestare attività di didattica o di ricerca nella misura in cui i suoi colleghi più giovani continuano a sollecitarla. Se poi uno studioso è di fama, continuerà talmente ad essere occupato da congressi internazionali e richieste da varie università che continuerà a lavorare sino a 90 anni”
.
All’interno della proposta di delibera predisposta dalla commissione vi sono anche due emendamenti che mirano ad inserire la partecipazione agli organi di Governo tra i criteri di valutazione dei docenti che presentano domanda di deroga al pensionamento. E’ inaccettabile il testo dell’emendamento del prof. Vonghia e quello similare del Prof. Logroscino. Con l’introduzione di un tale emendamento si darebbe realmente adito a chi chiama tale norma: la “norma salva baroni”.
Nel Senato del 14 maggio 2009 abbiamo approvato all’unanimità il regolamento che disciplina i criteri e le procedure per il conferimento di incarichi di insegnamento, gratuiti o retribuiti. All’art. 2 lett. e) viene disciplinato il contratto a titolo gratuito per i docenti in quiescenza.
Non si capisce allora cosa impedisce, mediante questo regolamento di risolvere il problema di non disperdere i saperi, le competenze e le conoscenze dei docenti più anziani.
I docenti dovrebbero mettere la propria elevata professionalità a disposizione della comunità accademica, della ricerca e degli studenti: gratuitamente o con un contratto e con tutta la gratitudine dell’Università degli Studi di Bari e dei suoi studenti.
Il Decreto Legislativo 503/1992 all’art.16 fissava l’età pensionabile del corpo docente a 70 anni. Si dava anche la possibilità al docente di chiedere una proroga di due anni.
La L.133/08 ha modificato le norme sul pensionamento affidando alle Università, nell’ambito della loro autonomia, la possibilità di scegliere i criteri con cui accettare tali domande di deroga rispetto al pensionamento.
Molti Atenei italiani, Bologna, Torino, la Sapienza di Roma, hanno scelto di non consentire deroga alcuna rispetto al rinvio dell’età di pensionamento. L’Università di Siena, provata da una pesante crisi finanziaria, ha addirittura scelto di anticipare l’età pensionabile a 65 anni.
Una commissione disposta dal Senato Accademico ha presentato una proposta che invece consente tale deroga, con una norma che la stampa ha definito “norma salva baroni”.
La parte più rilevante della proposta riguarda la componente docente, per quanto la norma interessi anche il personale tecnico amministrativo.
La proposta prevede che il Rettore possa concedere la deroga in sussistenza di criteri non particolarmente stringenti. I criteri proposti non forniscono garanzie sufficienti. Tali elementi di valutazione sono:
- contributo dato dal richiedente al prestigio dell’istituzione universitaria
- produttività scientifica del richiedente, in base ai requisiti per l’accesso ai finanziamenti di Ateneo come stabiliti dal Senato., e secondo i parametri indicati dal CUN
- Riconosciuta elevata professionalità (sul cui significato vige il mistero più assoluto)
E’ evidente che se si dovesse discutere solo dei criteri, risulta evidente la mancanza, tra di essi, dell’esito del giudizio del nucleo di valutazione. Devono essere oggetto di valutazione i risultati dei questionari somministrati agli studenti.
Ma la questione non riguarda solo gli aspetti tecnici perfezionabili e la necessità di trovare criteri stringenti, si tratta piuttosto di una questione politica.
C’è in primis un dato politico e simbolico. E’ necessario dare segnali di rinnovamento. Tante e tanti nostri coetanei non ci sperano neanche più.
Sappiamo bene che si sta mettendo in atto un processo di inversione della piramide, dato che con 51 chiamate per ricercatori lo scorso anno siamo stati il secondo Ateneo d’Italia. Ma il segnale che verrebbe dato da un provvedimento come questo sarebbe motivo di grande sfiducia per chi, studente, dottorando, precario, aspira ad un futuro nel mondo accademico.
E’ quindi, anche un problema di immagine a cui il Magnifico Rettore è particolarmente attento. Sa bene come l’immagine di un ateneo e la percezione che si da di sé all’esterno ha degli effetti sostanziali e concreti.
Ma l’obiettivo fondamentale non può non essere il rinnovamento sostanziale, e il ricambio generazionale.
Per quanto riguarda l’età pensionabile la media europea è di 65 anni, dove ben altri livelli di valutazione delle università e della qualità della docenza. Se crediamo che l’Università di Bari e il sistema universitario nazionale debbano autogovernarsi è necessario indicare politiche nazionali anche mediante le scelte da fare a livello locale. Non possiamo lasciare a chi, come il Miur sta facendo, la possibilità di usare la retorica del ringiovanimento per giustificare i tagli all’università è un errore strategico.
Esiste inoltre una difficoltà concreta nel distinguere tra chi merita e chi vive solo di rendita per il lavoro fatto negli anni passati, in cui era più giovane.
Siamo grati come Università del lavoro svolto da coloro che vivono di rendita, ma non possiamo non distinguere.
Segnalo l’intervento di Umberto Eco che aprendo il dibattito sul tema nell’Università di Bologna dice: “Io ho la mia età e vado giustamente in pensione. In altri Paesi però i professori universitari vanno normalmente in pensione a 65. So benissimo che uno studioso di 65 anni può ancora essere attivissimo. Lo studioso che può vivere dignitosamente con la sua pensione continua a prestare attività di didattica o di ricerca nella misura in cui i suoi colleghi più giovani continuano a sollecitarla. Se poi uno studioso è di fama, continuerà talmente ad essere occupato da congressi internazionali e richieste da varie università che continuerà a lavorare sino a 90 anni”
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All’interno della proposta di delibera predisposta dalla commissione vi sono anche due emendamenti che mirano ad inserire la partecipazione agli organi di Governo tra i criteri di valutazione dei docenti che presentano domanda di deroga al pensionamento. E’ inaccettabile il testo dell’emendamento del prof. Vonghia e quello similare del Prof. Logroscino. Con l’introduzione di un tale emendamento si darebbe realmente adito a chi chiama tale norma: la “norma salva baroni”.
Nel Senato del 14 maggio 2009 abbiamo approvato all’unanimità il regolamento che disciplina i criteri e le procedure per il conferimento di incarichi di insegnamento, gratuiti o retribuiti. All’art. 2 lett. e) viene disciplinato il contratto a titolo gratuito per i docenti in quiescenza.
Non si capisce allora cosa impedisce, mediante questo regolamento di risolvere il problema di non disperdere i saperi, le competenze e le conoscenze dei docenti più anziani.
I docenti dovrebbero mettere la propria elevata professionalità a disposizione della comunità accademica, della ricerca e degli studenti: gratuitamente o con un contratto e con tutta la gratitudine dell’Università degli Studi di Bari e dei suoi studenti.
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